Fare un giro in città, entrare in un bar e prendersi un caffè o acquistare un bene in un negozio. Un gesto normale, che però nel 2020 abbiamo imparato a non dare per scontato, sia dal punto di vista del cliente che del commerciante. Il Covid e tutto quello che ne consegue ci ha fatto vedere il piccolo commercio in un’ottica diversa: il cliente costretto ad ordinare a casa, a non toccare più con mano i prodotti che di solito trovava negli scaffali, a bere un caffè camminando per strada o a potersi muovere solo per l’acquisto di beni essenziali. Il commerciante costretto a chiudere le serrande, a vestire i panni del corriere e fare chilometri magari per consegnare un paio di calze, il ristoratore che trasforma il suo ristorante in un magazzino e a non sapere se e quanta merce acquistare. Il tutto ovviamente nel marasma delle normative che cambiano di continuo e con le tasse e le bollette sempre e comunque da pagare.
Questa pandemia, nel bene e nel male, mi ha fatto scoprire un mondo. Dietro una tazzina di caffè, un maglione, un prodotto qualsiasi ci sta dietro un’intera filiera, da chi importa o produce, a chi trasporta, a chi genera servizi. Sono persone che hanno deciso di investire in un’attività e che la sera, come tutti, devono portare la pagnotta a casa. Persone che ogni giorno lavorano nell’incertezza, non del futuro, ma del domani, senza sapere se riapriranno la serranda del loro negozio. In un periodo di crisi generalizzata, hanno pagato sulla loro pelle tutte le conseguenze della pandemia, finché è arrivato forte e chiaro il loro grido d’aiuto. Ma, vi assicuro, senza rinunciare alla dignità, perché io di lamentele ne ho sentite poche, se non motivate da aiuti promessi che poi non sono mai arrivati. Non chiedono commiserazione, ma solo di poter lavorare, nel rispetto del prossimo e della sicurezza.
Viste queste premesse, ho deciso di dare una mano, da cittadina, lasciando fuori ogni mero richiamo alla politica, andando a parlare e soprattutto ascoltando i commercianti, veri attori di questo tragico teatrino messo in piedi non solo dal Covid ma, diciamocela tutta, dalla stessa politica che non ha saputo dare risposte esaustive. Per questo ho dedicato ogni settimana, compatibilmente con i miei orari, una giornata intera per visitare negozi e per ascoltare le proposte dei commercianti. Ed è stata una cosa proficua perché tutte le iniziative sono nate dal dialogo. Così ho creato “Shopping a Trieste”, un gruppo Facebook per mettere in relazione le esigenze dei clienti e le proposte dei negozi, che fin da subito hanno avuto modo di farsi conoscere. Io stessa ho scoperto tante belle attività che non sapevo esistessero. Subito dopo è nato il sito omonimo che in pochi mesi ha raggiunto e superato le 100mila visualizzazioni. E’ stata una grande opportunità, che tanti esercizi hanno colto, sia perché del tutto gratuita, sia per gli strumenti messi a disposizione e per la costante assistenza fornita.
Nel corso del tempo ho creato diverse iniziative a favore del commercio triestino. Il video contest ad esempio, una gara creativa con i video auto prodotti dai commercianti stessi, e ancora la possibilità di avere una vetrina con le proprie offerte. Ma soprattutto voglio ricordare l’idea della TShopping Card a cui hanno aderito in molti. Una semplice card virtuale distribuita a più di 2.600 clienti che offre tanti sconti in diverse tipologie di negozi e servizi, dall’acquisto di abbigliamento, alla colazione, dal lavaggio auto ai casalinghi, insomma un’unica card a disposizione dei cittadini che non vogliono rinunciare alle offerte e che sono sempre aggiornati con un catalogo. Nel periodo natalizio ho ideato le “vetrine”, per cui ogni attività aveva a disposizione la sua vetrina originale con un video unico ed esclusivo. E prossimamente sono già in cantiere tante altre iniziative, sempre che il Covid ci dia una tregua e mi permetta di organizzare eventi. Insomma, non ci si può fermare adesso e la capacità di rinnovarsi è quanto mai importante per avere una spinta in più.